Cinque domande a… Marco Pecorari

Nella sua terza stagione al Chieri, la prima alla guida della Juniores Nazionale, Marco Pecorari sta confermando le qualità da allenatore già mostrate gli anni scorsi con i 2003. Il titolo di campioni d’inverno conquistato nel girone d’andata e i tanti giocatori che si stanno approcciando alla prima squadra certificano la qualità del lavoro che sta svolgendo con i suoi ragazzi.
Approfittiamo delle ultime ore di sosta del campionato per scambiare qualche battuta con mister Pecorari.

Il tuo bilancio della prima parte di stagione?
«Sicuramente è molto positivo. Vedo che i ragazzi hanno voglia di apprendere e apprendono velocemente e, ancora più importante, portano sul campo quel che facciamo in allenamento. Certo, il titolo di campioni d’inverno è bello, ma come ho detto anche ai ragazzi non ti premiano per questo: ti premiano alla fine dell’anno quando poi sarai lassù in cima. Un’altra cosa molto importante è la sinergia con la prima squadra: con Vincenzo Manzo c’è un rapporto costante e penso che in una società che vuole fare le cose fatte bene questo debba essere un punto fermo. Dobbiamo continuare a lavorare come abbiamo fatto finora per affrontare il girone di ritorno, che sarà sicuramente più complicato».
Cosa ti soddisfa di più di quanto avete fatto finora? E in cosa credi si debba migliorare maggiormente?
«Mi soddisfa soprattutto l’affiatamento che c’è fra i giocatori e nello staff: penso sia la base anche per raggiungere gli obiettivi prefissati. Dobbiamo migliorare soprattutto nella gestione della partita e dei tempi della partita, nel capire quand’è il momento di tener palla, quand’è il momento di accelerare, perché essendo una squadra votata all’attacco che attacca sempre e comunque, a volte incontriamo pericoli che sarebbero evitabili stando un pochino più attenti».
È il tuo primo anno alla Juniores. Cosa caratterizza il tuo lavoro con i ragazzi di questa età?
«Il lavoro più difficile è far capire ai ragazzi che il Settore Giovanile è finito e ormai la Juniores dev’essere già un calcio da adulti. Quindi bisogna iniziare a pensare che il giocatore non è solamente dentro il campo, ma deve fare una vita da atleta e deve comportarsi in un certo modo. Da un punto di vista tecnico-tattico, credo che nel calcio si inventi veramente poco. Quello che può fare la differenza è il modo in cui da allenatore proponi le tue idee e il tuo modo di intendere il calcio. Se sei bravo a condividerle con la tua squadra, e la tua squadra ti segue, si può formare quell’alchimia che può portare a grandi risultati. Penso sia uguale dai Giovanissimi agli Allievi alla Juniores, l’importante è che l’allenatore riesca a rendere partecipi i giocatori e fargli capire che portando l’idea di calcio insieme si possono raggiungere dei bei traguardi».
Da allenatore, e da ex calciatore arrivato fino in serie A, cosa può fare la differenza affinché un ragazzo arrivi in prima squadra?
«L’obiettivo principale è proprio formare giocatori e atleti a tutto tondo, che possano entrare nel giro della prima squadra. Quello che purtroppo spesso manca è la mentalità del calciatore. Soltanto con le doti tecniche non si arriva. Bisogna avere doti tecniche, doti morali, essere un atleta, pensare da atleta, far la vita da atleta, altrimenti è difficile riuscire ad arrivare in una prima squadra importante. Dal mio punto di vista la differenza è la testa. È la testa che alla fine muove tutto il giocatore. Se sei giocatore in campo e fuori dal campo, allora hai buone probabilità di raggiungere obiettivi importanti».
Un obiettivo da qui a fine stagione?
«Non mi sento di dare un obiettivo ai ragazzi, se non pretendere da loro che continuino con questo entusiasmo, questa voglia di imparare, questa voglia di sacrificarsi uno per l’altro. Questo è l’obiettivo che do a loro. Per quanto mi riguarda, il mio unico obiettivo è trasmettere ai ragazzi il valore reale dello sport: divertirsi facendo le cose seriamente, essere atleta e calciatore a 360°. Il campo dirà poi dove potremo arrivare. Come dico sempre ai ragazzi, sarebbe bello, se qualcuno dovesse batterci, che fosse per meriti loro e non per demeriti nostri, e che ogni volta che usciamo dal campo siamo consapevoli di aver dato tutto».

(Foto di Piergiorgio Lunati)